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"Mentre un cliclo di chemio costa diverse centinaia di Euro, un trattamento con il CRM197 non costerebbe quasi niente, forse per questo è poco appetibile per le cause farmaceutiche. Senza contare che mentre la chemio distrugge anche le cellule sane, il CRM197 si basa sulla stimolazione del sistema immunitario."

(Anna Maria Buzzi)

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Cancro, il Giappone ci scippa la cura snobbata dal Ministro Turco

posted by admin
venerdì, maggio 11, 2007

Da “Il Giornale” – 11 maggio 2007 – di Gabriele Villa

Ravenna – Saranno un bel diecimila chilometri. Metro più metro meno. E loro li hanno fatti, sono partiti da Osaka e da Fukuoka. Dal Giappone sono arrivati a Ravenna. A spese e per conto del governo di Tokio. Tre giorni di full immersion. Per imparare. «Loro» sono il professor Esuke Mekada, il dottor Shingo Miyamoto, il dottor Hosoi. Ricercatori e uomini di scienza che è difficile immaginare seduti come degli scolaretti ad ascoltare le parole di un medico italiano cui da trent’anni, in Italia, sbattono la porta in faccia solo perché ha avuto un’intuizione sorprendente che può aiutare a combattere il cancro. Quella del dottor Silvio Buzzi, 77 anni, neurologo di Ravenna, è una storia già nota ai lettori del nostro giornale. L’ha raccontata Stefano Lorenzetto, poi è stata abbozzata semiclandestinamente qua e là. Scampoli di buona stampa, sempre non richiesti, su un uomo che, nella sua vita, anziché inseguire popolarità e guadagno, dopo un’illuminazione avuta in sala operatoria quarant’anni fa (leggere il libro autobiografico il Talco sotto la Lampada – Edizioni Ares) ha invece inseguito a ritroso il percorso della tossina che provoca la difterite, arrivando ad accertarne la sua valenza antitumorale.

Una carta in più da giocare in una lotta che non ammette esitazioni. Un’opportunità legata alla fortuna e all’accoglienza, che finora non ha avuto, del Crm197, una replica della tossina difterica alla quale è stato sostituito l’unico aminoacido nocivo dei 535 che la compongono. Buzzi ha testato il Crm197 su 600 malati, casi descritti in uno studio pubblicato da Cancer Research nell’82, iniettando direttamente la tossina difterica. E su altri 400 la tossina bollita, atossica al pari del Crm197. Usando il Crm197 contro il cancro nel 30% dei casi ha ottenuto una riduzione del tumore: dal 50% fino alla completa guarigione. Anche se ha sempre ripetuto che il Crm197 «non è la vittoria sul cancro ma solo un contributo alla lotta». Le sue ricerche sono finite su Cancer Immunology e The Lancet e, fresco di stampa, anche su Therapy. Riviste che non sono fumetti. Fatto sta che il mite dottore, colpevole anche di non avere santi nel paradiso rosso della politica, tiene l’arma ma non le munizioni. Perché il ministero, l’Agenzia del farmaco, e anche la Novartis, che possiede la molecola-chiave, non se la sentono di tentare. Di concedergli anche una goccia di quella sostanza. Mica è il Viagra, il Cmr197, no? Dal 1997 al 2003 Buzzi ha dovuto pietire per averne 700 milligrammi. Poi più nulla. Pare di rileggere la vicenda di un tale professor Di Bella, trascinato a furor di popolo sui giornali, cui la Bindi fu costretta a tendere la mano ma che, appena ne ebbe occasione, si affrettò ad accompagnare all’uscita di servizio facendo archiviare la sua multiterapia con una sperimentazione maldestra, come accertarono carabinieri dei Nas e giudici. Perché se una autorevole delegazione di ricercatori e oncologi viene dal Giappone apposta per incontrare l’umile dottore italiano, il ministro della Salute Livia Turco non si degna nemmeno di ascoltare le sue richieste, guardarlo negli occhi e tastare il polso della sua ostinazione.

Convocato è stato convocato a Roma, il dottor Buzzi, ma solo per sentirsi ordinare, era il 19 aprile, nella sede dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, ministero della Salute, di smetterla di strepitare per aver qualche fiala del suo benedetto Crm197. E di starsene lontano dai giornali, dagli ospedali e dalle aziende farmaceutiche che potrebbero aiutarlo. Autoeclissarsi, insomma. Allontanarsi persino dai malati di tumore che, stando così le cose, importante precisarlo, è perfettamente inutile che bussino alla sua porta. Anche se avrebbero il diritto di scegliere la terapia da seguire. E che, inferociti, urlano la loro rabbia on line nel sito www.crm197.it. Ma da ieri Buzzi si sta prendendo la sua più bella soddisfazione: ore e ore a parlare con la delegazione giapponese, affiancato dalla figlia Anna, pure neurologa.

Decine di sue ricerche sul tavolo, filmati, diapositive, disegni. E i nipponici che chiedono e annotano per fare un pieno di informazioni. «Perché a novembre – annuncia il dottor Shingo Miyamoto, oncologo ginecolocigo, esperto di biologia molecolare della Kyushu University di Fukuoka – proprio grazie all’esperienza raccolta dal dottor Buzzi, avvieremo un trattamento iniettando il Crm197 su 18 donne affette da carcinoma ovarico, una patologia che il derivato della tossina difterica ha già dimostrato di far regredire se non addirittura annientare».

E il team leader della delegazione, il professor Esuke Mekada, direttore del dipartimento di ricerche microbiologiche dell’Università di Osaka, allievo del professor Uchida che inventò il Crm197 ma lo sperimentò solo sulle cavie, aggiunge: «Non ci importa che il nostro collega sia isolato o boicottato, siamo qui per imparare e per invitare il dottor Buzzi in Giappone. Saremmo molto lieti che affiancasse la nostra attività di ricerca». Mekada e Miyamoto non hanno perso tempo e con la benedizione del governo giapponese hanno già brevettato l’uso del Crm197 come antitumorale. Sorride di soddisfazione il medico ravennate che sognava di diventare come il dottor Manson della Cittadella di Cronin. Per lui è una vittoria morale, certo. Ma per quest’Italietta popolata di presuntuosi supporter della chemioterapia è un’altra sconfitta.

Intervista al Dott. Buzzi

posted by admin
mercoledì, aprile 4, 2007

Il Giornale

n. 6 del 06-02-06 pagina 1

«La mia tossina anti cancro»
di Stefano Lorenzetto

Quando avrete finito di leggere questa intervista, non cercate di contattarmi, neppure se il più caro dei vostri congiunti fosse condannato a morire di cancro: io, purtroppo, non posso far niente per lui. Neanche l’intervistato può far niente per lui: il lotto gratuito di Crm 197, un derivato della tossina difterica in grado in molti casi di bloccare l’avanzata del tumore e a volte di farlo scomparire, è finito nel 2003 e il dottor Silvio Buzzi proprio non saprebbe come e dove procurarsene dell’altro.
Solo il ministro della Salute può far qualcosa: credere a questa scoperta scientifica, supplicare la Chiron vaccines di tornare a produrre oggi stesso il Crm 197 nel proprio stabilimento di Siena e poi, dal momento che il preparato è assolutamente privo di tossicità, ordinare ai medici d’iniettarlo d’ufficio a tutti i malati di cancro ricoverati presso le strutture pubbliche. Non occorre privarli delle cure convenzionali (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). Basta solo una puntura. In aggiunta. Zero rischi.
Qui non stiamo parlando del siero Bonifacio estratto dalle capre, della terapia Di Bella o del metodo Simoncini che considera il cancro un fungo da estirpare col bicarbornato. La validità terapeutica del Crm 197 è già stata comprovata da studi rigorosi a firma del dottor Buzzi pubblicati fin dal 1973 su Cancer Research, la rivista ufficiale di quell’American association for cancer research che raduna i massimi oncologi del mondo e che ha cooptato lo studioso italiano fra i suoi membri attivi, su Cancer Immunology and Immunotherapy e sul britannico The Lancet, che è dal 1823 la Cassazione dei clinici.
Da un episodio accaduto 40 anni orsono in sala operatoria – una nuvola di talco che precipitava dentro un addome aperto – il dottor Buzzi ha tratto una folgorante intuizione sulla quale stanno ora lavorando le università di Osaka, Sapporo e Fukuoka con un progetto finanziato dal governo giapponese. Purtroppo ha commesso un errore: «Come l’uovo viene deposto nel nido, è naturale che una nuova scoperta di medicina avvenga in luoghi adeguati, per mezzi culturali, strumentali e umani, ad affrontare il problema». Invece il neurologo e psichiatra, oggi settantacinquenne, il suo uovo fuori dal cesto l’ha scodellato in perfetta solitudine nell’ambulatorio della sua villetta alla periferia di Ravenna e l’ha covato con ardente passione, aiutato solo dalla moglie Luciana Baroncini, biologa, dai figli Giorgio e Anna Maria, entrambi neurologi come lui, e dall’ultimogenita Silva, matematica.
Il diario privato di quest’uomo «cui non sono state risparmiate molte ingiustizie, che ha lavorato nel più assoluto silenzio senza cercare appoggi politici, senza entrare nel perverso “circolo mediatico” dei salotti televisivi per trovare facile pubblicità», come testimonia Luigi Bazzoli, per 15 anni direttore dell’inserto Salute del Corriere della Sera, è ora affidato alle 270 pagine di un libro intitolato Il talco e la lampada (Ares), che «dovrebbe figurare di diritto fra i testi di insegnamento universitario», dice Bazzoli.
Per la verità il dottor Buzzi provò a chiedere a qualche politico di aprirgli le porte di almeno un ospedale della Regione per esperimenti, esami di laboratorio e Tac; lo implorò affinché convincesse la Sclavo di Siena, poi assorbita dalla Chiron californiana, a fornirgli qualche fiala di Crm 197. Immaginate quale udienza poteva ottenere, un cattolico praticante, presso le autorità dell’Emilia Romagna.
A quel punto avrebbe dovuto chiedere aiuto a Raul Gardini, che all’epoca era uno dei potenti d’Italia e teneva un piede nell’industria chimico-farmaceutica. Buzzi confessa di non averci nemmeno mai pensato. Eppure erano amici d’infanzia, gli curava la moglie Idina e la suocera e alla fine era diventato anche il suo psichiatra di fiducia, tanto che Gardini arrivò a confidargli, nei momenti più bui dello scandalo Enimont: «A me i num ciapa miga», a me non mi prendono mica, e infatti morì suicida.
A differenza di Edward Jenner, che il virus del vaiolo lo inoculò al proprio figlio, il medico romagnolo nel 1968 non esitò a provare su di sé, iniettandosela in vena, la tossina difterica: «Mi misi al microscopio con un mio campione di sangue per fare la conta dei globuli bianchi, ma non riuscivo neppure a vederli, tanto era il batticuore». Voleva essere certo che i suoi pazienti fossero al riparo da qualsiasi rischio. Milleduecento ne ha trattati. A distanza di molto tempo, 12 ancora campano, perfettamente guariti dal cancro. Ad almeno 360, dati per spacciati, ha regalato parecchi mesi, spesso qualche anno, di vita.
Che cos’è con precisione il Crm 197?
«Una fotocopia della tossina che provoca la difterite, nella quale è stato sostituito uno solo dei 535 amminoacidi che la compongono. Precisamente quello che la rende nociva».
Su quanti pazienti l’ha provata?
«Il Crm 197 su 200. Ma bisogna aggiungere che sui primi 600 malati, cioè i casi descritti nello studio pubblicato da Cancer Research nell’82, ho iniettato direttamente la tossina difterica intatta. E su altri 400 la tossina bollita, atossica al pari del Crm 197. Sempre con risultati sorprendenti».
Quante volte è riuscito a far funzionare il Crm 197 contro il cancro?
«Nel 30% dei casi ho ottenuto una significativa riduzione del tumore».
Quanto significativa?
«Dal 50% fino alla completa guarigione».
Cioè il tumore scompariva?
«Esatto».
Mi mostri qualche prova.
«Ecco, questa è la cartella clinica di un bambino di 6 mesi, figlio di un collega ospedaliero. Gli diagnosticarono un neuroblastoma resistente alla chemio. Il padre, disperato, mi disse: “Proviamo”. Io non volevo. Gli praticai otto iniezioni. Dopo un anno il piccolo fu sottoposto alla risonanza magnetica all’ospedale di Ferrara, perché qui a Ravenna non abbiamo la Rm. Da Ferrara la risposta tardava ad arrivare. Alla fine capimmo il motivo: il neuroblastoma era sparito e quattro clinici si stavano arrovellando da una settimana su queste immagini senza riuscire a darsi una spiegazione. Oggi il bambino va a scuola, è guarito, non ha più fatto iniezioni».
Da non credere.
«Non è la vittoria sul cancro: solo un contributo alla lotta. Per funzionare il Crm 197 richiede un organismo che mostri una buona capacità di risposta immunologica alla difterite. Andrebbe provato sui pazienti appena operati di tumore, con metastasi limitate ai soli linfonodi. L’ideale sarebbe testarlo su quelli che rifiutano la chemio o non la tollerano. Io ho avuto 26 malati di questo tipo. Il primo fu un contadino di 66 anni. Venne da me nel 1986 con un tumore allo stomaco. Anche le vie linfatiche erano già invase dalle cellule neoplastiche. Lo cacciai di qui tre volte. Alla quarta mi disse: “Se non mi fa quella puntura, la mia morte sarà colpa sua e solo sua!”. Non ci dormii per un paio di notti. Alla fine cedetti. È arrivato a 86 anni. Quando lo incontro me lo rinfaccia bonariamente: “Mi sono salvato per merito mio. Fosse dipeso da lei, sarei già sotto terra da un pezzo”. Nessuno di questi 26 soggetti ha più avuto ricadute».
Perché ha scelto di fare il medico?
«Volevo diventare come il dottor Manson della Cittadella di Cronin. Vengo da una famiglia poverissima. Mio padre era facchino al porto di Ravenna. Per mantenermi all’università lavoravo allo zuccherificio Eridania. La domenica andavo col cane in cerca di tartufi e li vendevo al ristorante Donatello di Bologna. Dalla maturità in avanti ho sempre avuto borse di studio. Quattro giorni dopo la laurea fui arruolato come aiuto di sala operatoria alla casa di cura San Francesco. Ero il manovale del chirurgo Giuseppe Vangelista, da tutti chiamato Vangelo giacché la sua era l’ultima parola, di vita o di morte. Oggi ha 96 anni. Infilava la mano nella pancia, palpava il carcinoma, scuoteva la testa: “Troppo avanti. Chiudi, ragazzo”. E io suturavo. Qualche volta capitava però che il paziente, dopo l’intervento esplorativo, avesse un miglioramento inspiegabile. Per tre o quattro mesi il cancro, anziché avanzare, regrediva. Il dottor Vangelista lo spiegava così: “È la boccata d’aria che diamo al peritoneo”. A me l’affermazione suonava implausibile. E i tumori polmonari, allora, che sono anaerobici, cioè proliferano in assenza di ossigeno? Cominciai a indagare».
Partendo da dove?
«Da un muratore rimandato a casa con un tumore del colon metastatizzato. Andai a trovarlo per dieci anni. Morì d’infarto. Un secondo paziente fu dimesso con un tumore polmonare enorme. Gli restavano poche settimane di vita. Anche questo morì dopo dieci anni. Di ictus».
Entrambi dopo essere usciti dalla sala operatoria?
«Esatto. Tenga conto che a quei tempi non c’erano gli ambienti sterili di oggi. Capitava perciò che il dottor Vangelista si cambiasse i guanti in sala. In una di queste occasioni vidi spandersi nell’aria uno sbuffo del talco che consente al chirurgo d’indossarli più facilmente. Osservavo queste micelle alla luce della lampada scialitica mentre scendevano lente e si depositavano nell’addome squarciato del paziente. Pensai: sarà solo un male? Qualsiasi germe stimola il sistema immunitario. Non a caso i bambini più esposti alla poliomielite erano quelli che abitavano ai piani alti delle case, i più igienici. I loro coetanei che razzolavano nei cortili s’ammalavano di rado».
Come s’arriva alla tossina difterica?
«Un giorno portarono in clinica un trentenne in gravissime condizioni. “Difterite maligna”, sentenziò l’internista. L’infezione è provocata da un bacillo che s’insedia nella gola e da quella sede produce una tossina micidiale che attacca tutti gli organi. Purtroppo il giovane morì. Lì ebbi un lampo: e se fosse il bacillo della difterite che entra nel corpo dei pazienti mentre operiamo sui tumori?».
E come ci entra, scusi?
«È un bacillo ubiquitario. Si trova dappertutto, anche qui, in questo ambulatorio. Solo che le nuove generazioni ne sono immuni, essendo la vaccinazione antidifterica obbligatoria per legge. Ebbi questa strana illuminazione: che il Corynebacterium diptheriae fosse in grado di danneggiare, insieme con gli organi vitali, anche i tumori».
Che fece?
«Decisi di provocare il cancro nei conigli iniettandogli nelle orecchie il 20-metilcolantrene, un idrocarburo dal forte potere oncogeno, ricavato dal bitume. Più complicato fu farmi consegnare dalla Sclavo la tossina difterica, anche perché può uccidere senza lasciare tracce».
In che modo si ottiene?
«Nei laboratori dispongono dei ceppi congelati. La coltivano su un normalissimo brodo di carne. Poi filtrano il liquido contenente la tossina e ricavano un liofilizzato in fiale».
Che cosa notò inoculandola nei conigli?
«Una regressione. La massa tumorale diminuiva di circa la metà. E ricominciava a crescere smettendo le iniezioni. Era il 1970. Telefonai subito a un amico farmacologo, Italo Maistrello, povero come me, figlio di pescatori di Porto Garibaldi, che lavorava alla Farmila di Milano. Lo pregai di venire a vedere. “Solo perché sei tu”, disse. Venne e rimase di sasso. “Bisogna provare la tossina su migliaia di topi singenici, cioè tutti uguali fra loro per sesso, età e peso; elaborare un programma; farci dare dall’Istituto Mario Negri i tumori sperimentali”, concluse. Optammo per il tumore di Ehrlich e il sarcoma 180. Ma a un certo punto i capi della Farmila, che produce colliri, convocarono Maistrello: “Che ci viene in tasca da questa ricerca?”. Lui rispose: “Prestigio”. Replicarono: “Il prestigio non è quotato in Borsa”. Oggi il mio amico lavora all’Ici, Imperial chemical industries di Londra».
Come andarono le prove sui topi?
«Quelli non trattati morivano in 16 giorni, gli altri in 32. Ma la vera sorpresa venne dall’ultimo esperimento su 100 topi nei quali avevo provocato il tumore di Ehrlich e poi iniettato la tossina difterica. A quattro mesi di distanza, 18 erano ancora vivi e sanissimi. Provai allora a reinoculargli il tumore nella stessa quantità: non attecchiva, lo rigettavano. Erano immunizzati».
Che meccanismo d’azione ha ipotizzato?
«Le cellule maligne dispongono di un gancio. Il Crm 197, come la tossina difterica, s’attacca a questo gancio provocando un’infezione. A quel punto scatta il sistema immunitario, che va a distruggere il Crm 197. Col risultato di uccidere, insieme con la fotocopia della tossina difterica, anche le cellule tumorali. Metta di vedere una mosca sul muro: lei decide di ucciderla con una martellata. Così distrugge la mosca, ma butta giù anche un pezzo di muro. La mosca è il Crm 197, il martello è il sistema immunitario, il muro è il tumore».
Quante iniezioni occorrono?
«Sei sottocutanee, a giorni alterni, nell’addome. Con un richiamo ogni due mesi, per un totale di cinque richiami. Io ho preso i malati che mi capitavano. Sul melanoma risponde benissimo».
È legale quello che ha fatto?
«Non avrei potuto testare il Crm 197 neppure sugli animali. Ai pazienti facevo firmare una liberatoria. Non li ho mai sottratti alle terapie convenzionali e non ho mai preso un centesimo. Per precauzione ho consultato alcuni avvocati: a mio favore giocava solo la legge sullo stato di necessità. Se un analfabeta trova per strada un ferito che sta morendo dissanguato, è autorizzato a stringergli una cintura attorno alla vena tranciata, giusto? Quello ho fatto io. Ma è difficile comprendere quanto sia stato logorante, sempre con gli stessi malati, sempre in fase terminale…».
Perché non ha sensibilizzato i politici?
«Ho tentato. Credevano che cercassi un posto da assistente in ospedale, pensi un po’. I senatori comunisti Arrigo Boldrini ed Ennio Cervellati mi invitarono a pranzo a Grattacoppa, ma solo per chiedermi di visitare gratis alcuni loro amici».
Poteva rivolgersi ai democristiani.
«Mi portarono dall’onorevole Benigno Zaccagnini. Nonostante fosse medico, mentre parlavo scuoteva la testa in segno di negazione. Dopo un mese mi telefonò: “Ne ho discusso”, disse, senza precisare con chi, “ma non ha suscitato alcun interesse. Dipenderà dalla crisi economica. Sono molto spiacente”».
Chi l’ha aiutata?
«La povera gente. Come l’ex partigiano Paolo, un anticlericale granitico. Ho scoperto che alle feste dell’Unità ordinava ai compagni di venire nel mio ambulatorio anche se erano sanissimi in modo da farmi prendere l’onorario delle visite».
Che differenza c’è fra lei e il professor Luigi Di Bella?
«Ho ereditato una decina di suoi pazienti. In un caso ho visto una sicura riduzione del tumore, documentata da una Tac. Però il suo metodo non è stato sperimentato sugli animali e consiste in una miscela di sostanze, per cui non si sa quale sia quella che realmente agisce. Senza contare che Di Bella non pubblicò mai i suoi studi sulle riviste che applicano la peer review, cioè la revisione da parte di almeno tre ricercatori indipendenti e anonimi nelle vesti di avvocati del diavolo».
Possibile che in giro per il mondo nessuno abbia mai constatato questo meccanismo d’azione della tossina difterica?
«Di recente ho ricevuto questa e-mail da Annette, una signora di New York. Descrive il caso del marito Dave, cinquantenne, portatore di melanoma all’ultimo stadio. Aveva polmoni, fegato e tibia zeppi di focolai. Da oltre un anno si sottoponeva alla chemio, senza alcun beneficio. Un’infezione l’ha costretto al ricovero in ospedale. Dai laboratori di Albany è arrivata la risposta: difterite del tipo mite. Il primo caso nella contea di Suffolk in 40 anni. In due settimane Dave è stato dimesso. Un mese dopo, la Pet di controllo ha scioccato i medici: “Liver cancer gone”, il cancro al fegato se n’è andato. Altre due Pet successive hanno dato identico risultato per polmoni e tibia. Dave è guarito. La moglie mi ha rintracciato digitando su Internet le parole chiave cancer e diphtheria».
Perché non ha brevettato la sua scoperta?
«Perché mi pareva poco etico speculare sul cancro. Che ci creda o no, è così».
(318. Continua)
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