Associazione Scelta di Cura in memoria di Luigia Tortora e Tommaso Pistoia
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LA SPERIMENTAZIONE IN GIAPPONE RIMANE LA NOSTRA UNICA SPERANZA
da Osaka Paolo Soldano
Nuova speranza nella lotta contro il cancro: dal Giappone, su ricerca italiana, parte la sperimentazione del CRM197
16 Ottobre 2007 OSAKA: L’Università di Osaka è una piccola città in cui è molto facile perdersi, tra le decine di dipartimenti che si susseguono uno dopo l’altro. Quello di biologia cellulare è l’ultimo dei tanti palazzi grigi che si differenziano solo per la targa all’ingresso.
È da qui che un segnale forte alla lotta contro il cancro potrebbe partire nel giro di pochi mesi, appena la sperimentazione del CRM197 su dodici donne affette da tumore ovarico sortirà i primi effetti. È qui che incontro Eisuke Mekada, 55 anni, occhi pimpanti e cervello sempre attivo
Paolo Soldano: Come ha conosciuto il dottor Buzzi?
Eisuke Mekada: Stavo studiando HB EFG (Heparin Binding Epidermal Growth Factor, un gene della proliferazione delle cellule) e stavo iniziando a fare una ricerca su come il suo inibitore, il CRM197, si potesse usare come anti cancerogeno, quando lessi una relazione del dott. Buzzi. Era il 2004. Comunque già dal 1997 mi interessavo al CRM 97 ma non ancora alla ricerca sul cancro e ricevetti una email del dott. Buzzi che mi poneva alcune domande. Lo conobbi così.
Ma che cos’è esattamente il CRM 197?
La sigla sta per Cross Reacting Material 197, ed è una variazione non tossica della tossina difterica. Associandosi alle cellule tumorali, stimola la reazione del sistema immunitario, esercitando un effetto antitumorale immunologico. Legandosi all’HB EFG, spesso presente nelle cellule colpite da tumore, provoca la reazione dell’apparato immunitario, che va ad attaccarlo, finendo però per distruggere anche la cellula tumorale. Dopo il primo contatto negli anni ’90, i due medici hanno continuato a collaborare a distanza, fino a quando un gruppo di ricercatori, tra cui Mekada, a maggio di quest’anno ha deciso di andare in Italia e incontrare Buzzi, che ha ricambiato la visita, insieme alla figlia (anche lei dottoressa), lo scorso settembre.
E.M.: Volevo studiare nei dettagli gli effetti collaterali e l’efficacia del CRM 197 leggendo ad uno ad uno i risultati nelle cartelle dei pazienti con il quale erano stati trattati. _ Sono rimasto in Italia una settimana. Durante i tre giorni passati a Ravenna ho parlato direttamente con il dott. Buzzi e mi sono fatto mostrare le lastre dei pazienti trattati. Quella è stata la prima volta che ho incontrato il dott. Buzzi.
P.S.: Che impressione Le ha fatto?
E.M.: Ritengo sia una persona molto seria che da tanto tempo esegue con passione la sua ricerca clinica. Una delle cose che mi ha più colpito è il fatto che il dott. Buzzi è un medico privato e non un professore universitario. Nonostante questo, nonostante il fatto che non avesse e non abbia a disposizione mezzi e tecnologie universitari, è riuscito comunque ad accumulare molti dati e risultati scientifici. Penso che sia una persona rara e ammirevole.
P.S.: Quanto sono state importanti le sue ricerche?
E.M : Le testimonianze e i dati raccolti da Buzzi ci hanno permesso di accelerare i tempi delle nostre sperimentazioni cliniche sulle persone, e ci hanno rassicurato. Anche per ricevere fondi per la nostra ricerca è stato fondamentale citare il caso di Buzzi e la sua sperimentazione in Italia del CRM197. In questo modo siamo riusciti ad attirare l’attenzione del Governo.
P.S.: Quando avverrà la sperimentazione?
E.M.: Stiamo aspettando che venga approvata la prima sperimentazione clinica del CRM197 dal PMDA (Pharmaceutical Medical Devices Agency, organizzazione governativa giapponese. N.d.R.) e quindi dal Ministero della Salute. Probabilmente partirà intorno a dicembre di quest’anno. Se la prima prova andrà a buon fine potremmo passare alla seconda e alla terza fase. Pensiamo che sia degna di speranza.
P.S.: Su chi sarà testato? E.M.: Sarà testato su dodici pazienti affette da cancro alle ovaie. Se i dati della prima e della seconda fase di trattamento con il CRM197 andranno bene forse qualche industria farmaceutica si interesserà a produrre il farmaco e darà la licenza, e potremmo continuare a sviluppare la ricerca. P.S.: Dopo quanto tempo si avranno i risultati?
E.M.: Naturalmente non avendolo ancora sperimentato abbiamo bisogno prima di tutto di raccogliere dati per fare delle statistiche. Ogni persona reagirà probabilmente alla cura in modo diverso, perché non esistono persone uguali. Ci sono sempre situazioni diverse: a volte le persone guariscono senza medicine.
P.S.: Secondo lei nel giro di un anno si potrebbe curare il cancro?
E.M.: Non guarire il cancro, questo è un po’ difficile, ma ridurlo e allungare la vita dei malati sì. Adesso quello che ci interessa è sapere di quanto si possa allungare la vita. Si potrà migliorare le condizioni di quelli che convivono con il cancro. Io sono ottimista su questa cura.
P.S.: Pensa di lavorare con Buzzi in futuro?
E.M.: Se ci fossero possibilità lo farei volentieri, ma le leggi che regolano la medicina italiana e quella giapponese sono diverse e quindi non è facile trovare un punto di incontro. La ricerca di Buzzi è straordinaria, ma questa cura ancora non è riconosciuta in Italia, non ha ancora ottenuto il brevetto e non può ancora essere realizzata come medicina. L’industria farmaceutica per vendere le medicine deve fare tanti test e per questo occorrono soldi. Dopo trent’anni di ricerche e sperimentazioni, gli sforzi del dott. Buzzi stanno forse trovando il giusto epilogo. Certo, la ricerca in campo medico non ha confini, ma sapere che l’intuizione italiana non ha trovato ancora un terreno fertile proprio in patria, rattrista e fa pensare.
P.S.: Lei ha dedicato la sua vita alla ricerca e alla sperimentazione. Come si sente dopo tutti questi anni? Quali sono stati i momenti positivi e quali quelli negativi?
Silvio Buzzi: Mi sento miracolato perché, pur parlando sottovoce, qualcuno mi ha udito a 10.000 km di distanza a dispetto della coltre di milioni di voci che si incrociano perennemente in questo mondo globalizzato e ipercomunicante. I momenti più negativi sono stati quelli in cui perdevo il malato. Positivi tutti gli altri, nonostante il duro lavoro.
P. S.: Secondo lei perché l’Italia non ha ancora approvato su larga scala la sperimentazione? Crede ci siano degli interessi dietro a tutto questo?
S.B.: L’Italia ha approvato una sperimentazione che sta emettendo i primi, stentati vagiti. Non credo siano gli interessi a fare da freno. Credo piuttosto che il difetto sia nell’organizzazione che trovo estemporanea e approssimata a tutti i livelli. In tempi in cui ci si riempie continuamente la bocca di sanità e di ricerca è motivo di incredulità e di amarezza che una molecola che potrebbe giovare, e non poco, in campo oncologico (e anche in un’altra patologia di grande rilievo) sia tenuta ai bordi con sufficienza, per non dire con malcelato disprezzo.
P.S.: Cosa ha significato per lei il viaggio in Giappone?
S.B.: Ho deciso di fare il viaggio in Giappone, nonostante la mia tarda età (77 anni, N.d.R.), unicamente perché sapevo di incontrare dei colleghi che già conoscevo, seri e di profonda cultura sull’argomento. Ritengo che sia stato un viaggio importante e che i colleghi giapponesi porteranno all’attenzione generale questa innovativa terapia dei tumori.
P.S.: Cosa vorrebbe dire al Ministro della Sanità italiano?
S.B.: Al Ministro della Sanità del nostro paese, che non sembra apprezzare il nostro filone, vorrei dire che un buon giudice non ascolta solo il Pubblico Ministero ma anche la difesa dell’imputato.
La traduzione dal Giapponese, in supporto, è di Paola Mastropasqua.
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